CARLO
EMILIO GADDA - 1953
Norme per la redazione di un testo radiofonico
[...] Ciò avvertito,
ecco le regole generali assolute per la stesura di ogni testo
radiofonico, generali cioè valide per qualunque tipo di testo
radiofonico:
1)
Costruire il testo con periodi brevi: non superare in alcun caso, per
ogni periodo, i quattro righi dattiloscritti; attenersi, preferibilmente,
alla lunghezza normale media di due righi, nobilitando il dettato con
i lucidi e auspicati gioielli dei periodi di un rigo, mezzo rigo.
2)
Procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché
per figurazioni ipotattiche, cioè per subordinate (causali, ipotetiche,
temporali, concessive). All'affermazione: "Cesare, avendo accolto
gli esploratori i quali gli riferirono circa i movimenti di Ariovisto,
decise di affrontarlo", sostituire: "Cesare accolse gli esploratori.
Seppe dei movimenti di Ariovisto e decise di affrontarlo".
3)
Il tono gnomico e saccadé che può risultare da un siffatto
incanalamento e governo della piena (di idee) non dovrà sgomentare
preventivamente il radiocollaboratore. Una dopo l'altra le idee avranno
esito ordinato e distintamente percepibile al radioapparecchio: una
fila di persone che porgono il biglietto, l'una dopo l'altra, al controllo
del guardiasala. La consecuzione delle idee si distende nel tempo radiofonico
e deve avere il carattere di un "écoulement", di una
caduta dal contagocce. Ogni tumultuario affollamento di idee nel periodo
sintattico conduce al "vuoto radiofonico".
4)
Sono perciò da evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti
e le sospensioni sintattiche. La regìa si riserva di espungere
dal testo parentesi e incisi e di tradurli in una successione di frasi
coordinate. Una parentesi di più che sei parole è indicibile
al microfono. L'occhio e la mente di chi legge arrivano a superare una
parentesi, mentre la voce di chi parla e l'orecchio di chi ascolta non
reggono alla impreveduta sospensione. Nel comune discorso, nel parlato
abituale, nella conversazione familiare non si aprono parentesi. Il
microfono e il radioapparecchio con lui, è parola, è discorso.
Non è pagina stampata. La parentesi è un espediente grafico
e soltanto grafico. Seguendo nel parlato un'idea, non è
opportuno abbandonarla a un tratto per correr dietro a un'altra in parentesi.
E meglio liquidare la prima, indi provvedere alla seconda; così
il cane da pastore azzanna l'una dopo l'altra le pecore per ricondurle
al gregge: non può azzannarle a tre per volta. Congiunzioni temporali
e modali e gentilmente avversative (dunque, pertanto, in tal caso, per
tal modo, per altro, ma, tuttavia) permetteranno di agire in ogni evenienza
con risultati apprezzabili, senza ricorrere a incisi, a parentesi.
5)
Curare i passaggi di pensiero e i conseguenti passaggi di tono mediante
energica scelta di congiunzioni o particelle appropriate, o con opportuna
transizione, o con esplicito avviso (omettere l'avviso, la frase di
transizione, unicamente allorché il passaggio possa venir
affidato alla voce). L'ascoltatore non è profeta e non
può prevedere "quando" il discorso muterà, "quando"
il dicitore lascerà un'idea, o un seguito d'idee e d'argomenti,
per venire ad altro.
6)
Evitare le litòti a catena, le negazioni delle negazioni. La
litòte semplice - negare il contrario di quel che si intende
affermare - è gentile e civilissima figura. Molto redditizia
al microfono e in ogni forma di discettazione ragionata o di esposto
critico o storico, attenua la troppo facile sicurezza o l'asprezza eccessiva
di chi afferma: crea un distacco ironico dal tema, o dal giudizio proferito.
"Questa lirica non è malvagia". "La prosa del
Barbetti non è delle più consolanti".
Ferale risulta invece
all'ascolto la catena di litòti.
Alla seconda negazione
la mente per quanto salda e agguerrita dell'ascoltatore si smarrisce
nella giungla dei "non". Ogni "non" della tormentosa
trenodìa precipita dal cielo del nulla a smentire il precedente,
per essere a sua volta smentito dal seguente. Una doppia litòte
è, le più volte, un problema di secondo grado. Difficile
risolvere mentalmente un problema di secondo grado, impossibile risolvere
un problema di terzo grado. Sarà bene vincere pertanto la seguente
catena di tentazioni: "Non v'ha chi non creda che non riuscirebbe
proposta inaccettabile a ogni persona che non fosse priva di discernimento,
il non ammettere che si debba ricusare di respingere una sistemazione
che non torna certo a disdoro della Magnifica Comunità di Ampezzo".
Più radiofonico: "Tutte le persone di buon senso vorranno
ammettere che la sistemazione onorevole proposta dalla Magnifica Comunità
di Ampezzo è senz'altro accettabile".
7)
Evitare ogni infelice ricorso a poco aggiudicabili pronomi determinativi
o disgiuntivi o numerali o indefiniti, a modi qualificanti o indicanti
comunque derivati o desunti dal pronome o dal numero: quello-questo,
l'uno-l'altro, il primo-il secondo, esso, quegli, chi, ognuno, il quale,
qualsivoglia d'essi, egli, ella, quest'ultimo. Deve apparir chiaro in
su le prime a quali termini di una serie enunciata i detti pronomi si
riferiscono. In caso contrario è meglio ripetere il termine,
cioè il nome. Dopo aver elaborato una struttura sintattica risplendente
di quattordici sostantivi singolari maschili uno via l'altro, il riattaccarsi
con un "quello" o un "esso" all'uno dei quattordici
(a quale?) induce l'ascoltatore in uno stato di tragica perplessità
circa l'attribuzione del disperso trovatello (esso, quello) all'uno
piuttosto che all'altro dei nomi proferiti. Evitare, possibilmente,
di mettere in cantiere una frase come questa: "Il veleno del dubbio
e per contro il timore del peggio si erano insinuati fin dal vecchio
tempo, e in ogni modo dopo il recente conflitto, non forse nell'insicuro
pensiero ma certo nel tremante cuore del popolano di borgo e del valvassore
di castello in tutto il territorio (tanto nel fertile piano che sul
colle amenissimo) del piccolo ducato e del congiunto priorato, protetti
entrambi contro il tentato sopruso dell'esercito di Conestabile e contro
il sistematico assedio del reggimento di Catalogna dall'impeto stagionale
dell'affluente del Rodano, e sovrastati a tergo dal nero massiccio del
Courtadet, già ricetto di un antico raduno conventuale ed ora
di un pauroso brigantaggio: quello non meno sciagurato di questo".
Dove "quello" può riferirsi a: veleno del dubbio, vecchio
tempo, insicuro pensiero, popolano di borgo, fertile piano, piccolo
ducato, sopruso dell'esercito del Conestabile, impeto dell'affluente
del Rodano, antico raduno conventuale.
8)
Evitare le rime involontarie, obbrobrio dello scritto, del discorso,
ma in ogni modo del parlato radiofonico. Una rima non voluta e inattesa
travolge al ridicolo l'affermazione più pregna di senso, il proposito
più grave. La regìa si riserva la facoltà di emendare
dal vezzo d'una rima il testo che ne andasse eventualmente adorno.
9)
Evitare le allitterazioni involontarie, sia le vocaliche sia le consonantiche,
o comunque la ripetizione continuata di un medesimo suono. Le allitterazioni
sgradevoli costituiscono inciampo a chi parla, moltiplicano la fatica
e la probabilità di errore (pàpera). Ciò che è
peggio interrompono l'ascolto con dei tratti non comprensibili,
e non compresi di fatto. All'udire, talvolta, certe frasi di romanza,
non si percepisce il significato dei vocaboli, che escono frantumati
dalla gola di chi canta: il motivo musicale, ossia l'aria, appoggiato
sugli "are" e sugli "ore" di un poetico nonsense,
ci avvince con la sua mélode, esaudisce da solo la nostra
sete di bellezza.
Ma il parlato radiofonico
non è pretesto o supporto a una frase musicale; deve essere compreso
per se stesso; il suo valore deriva unicamente dal contenuto logico.
Un esempio di allitterazione vocalica: i versi danteschi:
Suso
in Itàlia bella, giàce un làco
E quella a cui il Sàvio bàgna il fiànco
orchestrati
in a sulle sedi toniche, risultano difficilmente comprensibili
all'apparecchio: si risolvono in una irruzione di a nella tromba timpanica
dell'ascoltatore frastornato; irruzione a cui non corrisponde, per cause
meramente fisiche, un adeguato fissaggio di immagini.
10)
Evitare le parole desuete, i modi nuovi o sconosciuti, e in genere un
léssico e una semantica arbitraria, tutti quei vocaboli o quelle
forme del dire che non risultino prontamente e sicuramente afferrabili.
Figurano tra essi:
a) i modi e i vocaboli
antiquati;
b) i modi e i vocaboli
di esclusivo uso regionale, provinciale, municipale;
c) i modi e i vocaboli,
talora arbitrariamente introdotti nella pagina, della supercultura (p.
e. della supercritica), del preziosismo e dello snobismo;
d) i modi e i vocaboli
delle diverse tecniche; della specializzazione;
e) i modi e i vocaboli
astratti.
11)
Evitare le forme poco usate e però "meravigliose" della
flessione, anche se provengono da radicali (verbali) di comune impiego.
Non tutti i verbi sono utilmente coniugabili in tutti i tempi, modi
e persone. È questa una superstizione grammaticale da cui dobbiamo
cercare di guarirci. Il verbo rappattumarsi genera uno sgradevole e
male assaporato ti rappattumi (seconda singolare indicativo presente),
il verbo agire genera, al primo udirlo, un incomprensibile agiamo
(prima plurale indicativo presente), il verbo svellere uno svelsero
(terza plurale indicativo remoto) alquanto indigesto, il verbo dirimere
e il verbo redigere degli insopportabili perfetti. Tali mostri sono
figli legittimi della coniugazione, ma la legittimità dei natali
non li riscatta dalla mostruosità congenita.
Fonte:
Carlo Emilio Gadda, "Norme per la redazione di un testo radiofonico",
in: Liliana Orlando - Clelia Martignani - Dante Isella (a cura di), Opere
di Carlo Emilio Gadda, III, Saggi, giornali, favole e altri scritti,
Milano, Garzanti, 1991, pp. 1081-1091, corsivi nel testo.